Il richiamo della terra

Non potrei trovare altre parole per descrivere la svolta dell’estate 2000.
Era una limpida domenica estiva ed io, fresco di laurea in Economia e Commercio in quel di Siena, avrei solo dovuto decidere cosa fare del tempo finalmente a disposizione.
Manco il tempo di dirlo ed ecco che torno a casa a Montauto, al km 10 della Campigliola.
La vendemmia si avvicinava ed io, che fino a quel momento vi avevo partecipato più per diletto che per autentico interesse, decido di prendervi parte e, perché no, di partecipare pure del delicato momento della vinificazione
L’azienda Montauto fa parte della mia famiglia da più di 60 anni. Fu mio nonno Enos a mettere a dimora i primi vigneti di Sauvignon Blanc già negli anni ’80. Ebbe intuito o, più propriamente, quello che i latini chiamano genius loci, e benché ancora poco si sapesse di zonazioni, esposizioni e vitigni tradizionali il fatto che Montauto distasse solo 10 km in linea d’aria dal mare di Capalbio deve avergli indicato, già allora, la strada enologica da seguire: quella dei bianchi.
Tornando a quell’estate, stavo camminando con un amico che era anche enologo tra le vecchie viti di Sauvignon ormai prodighe di torniti grappoli d’uva quando ci colpì le narici l’inteso profumo che l’uva stessa emanava. In pochi sanno, a questo proposito, che anche solo a toccarli durante la vendemmia i grappoli di Sauvignon profumano le mani in un modo tanto insistente quanto delizioso.
Fu quel profumo a persuadermi di fare ritorno a casa e dedicare la mia vita al vino e alla terra rossa di Montauto.
Del resto, le premesse erano delle più incoraggianti: la composizione del suolo, argilloso e ricchissimo di minerali fulgenti come il quarzo, la vicinanza col mare, le cui brezze indorano gli acini e li rinfrescano d’estate e infine il vento, che qui spira e asciuga le uve, facevano e fanno di questo un territorio ideale per la produzione di vini bianchi.
All’uomo – a me medesimo, nella fattispecie – il compito di farli “grandi” e, così facendo, di trasformare il territorio in terroir.
Così ho immaginato e attuato, a poco a poco, una politica aziendale che tuttora mi piace definire “dei piccoli passi”. Un passo alla volta, ho composta la cantina, comprato la pigia-diraspatrice, i tini d’acciaio e quelli in legno, ho immaginato una sala degustazione e piantato nuove viti e, negli anni, il senso della parsimonia mi ha permesso di creare un’azienda sana, capace di sostenersi da sola e di parlare, tramite i suoi vini, ai sai suoi clienti. In tutto il mondo.